La responsabilità della guarigione è nostra? Si può attuare un'"autoterapia"?/ Is healing our responsibility? Can we do a "self-treatment"?

Abbiamo subito uno o più traumi: un genitore che si allontana dalla famiglia e l'altro che a un certo punto inizia a pensare più a sé stesso, il bullo delle scuole medie, il pestaggio in piazza, la mancanza di considerazione all'università, l'emarginazione sociale, la discriminazione estetica, il mobbing al lavoro, il troll online, un fallimento aziendale...ecc. ecc.

Dopo tutto quello che abbiamo passato, magari ci sovviene o qualcuno ci fa notare, ineluttabilmente, che siamo noi che dobbiamo darci una mossa e rimetterci in riga. Ma come? Gli altri si comportano male con noi, e noi dobbiamo rimediare, come se fossimo stati noi i responsabili della nostra pena?

La risposta è sì. Si può senz'altro provare a creare un dialogo, fare richieste, implorare (sconsigliato) ecc. ma in ogni caso, non possiamo noi, come singoli, adoperarci per curare la società, non possiamo pretendere dagli altri un risarcimento psicologico e relazionale (non possiamo garantirci neanche un risarcimento monetario spesso!). Non possiamo continuare con la disforia legata al senso di ingiustizia per la pena subita. Ciò che ci è successo è ingiusto, forse siamo stati ingenui al massimo, e non siamo di certo del tutto o quasi per niente i responsabili della nostra pena, ma possiamo e dobbiamo affrontare ciò che abbiamo subito in modo funzionale e razionale per il nostro bene (e non per rassegnazione ad un'evidenza pessimistica della realtà e delle relazioni interpersonali).

Per prima cosa, il trauma non deve diventare un demone interiore, o quantomeno deve prima o poi smettere di esserlo. Se qualcosa ci è stato provocato da comportamenti altrui o comunque è dipeso dall'ambiente, dobbiamo liberarci dalla responsabilità del trauma.

La nostra infatti deve divenire, al contrario, responsabilità della guarigione: doversi curare è un atto che deve nascere da un nostro preciso atto di volontà e di autodeterminazione in quanto soggetti che hanno una difficoltà (e attenzione qui a non identificarsi col problema: ne parleremo un giorno), una volta, come detto, liberati dal senso di colpa o di responsabilità. E, anche se vi è colpa e responsabilità, esse non devono diventare sentimenti di autoflagellazione, ma, al massimo, mere consapevolezze di cause che possono perciò rappresentare elementi utili per attuare un miglioramento psicologico ed esistenziale concreto. La cura poi, può essere attuata chiaramente con il sostegno di un professionista della salute psichica e spesso e volentieri questa è una prassi giustissima e consigliatissima.

Ricordiamo che avere subito qualcosa di cattivo o terribile ci dà il diritto a chiedere aiuto senza però necessariamente dover sentirci ed essere bollati come persone disagiate, con disturbi mentali ecc. Il sostegno psicologico non è pedissequamente legato a uno stato di malattia mentale: anche persone che hanno dubbi su sé stesse possono trovare giovamento in una o più sessioni di psicoterapia.

Per quanto riguarda l'autoterapia, essa non è necessariamente in relazione di aut aut con l'aiuto professionale. Al contrario, essa è parte del processo di guarigione all'interno di un percorso di psicoterapia o comunque di sostegno psicologico: come si potrebbe in effetti attuare una terapia se il soggetto non fosse parte attiva e, anzi, interattiva? In effetti, ci si rende conto che ogni terapia è contemporaneamente un'autoterapia: il soggetto si autodetermina e decide, consultandosi con il professionista, quali obiettivi vuole raggiungere e con quali mezzi, riflette sugli scambi comunicativi e sulle osservazioni, si informa e magari si forma sulle metodologie terapeutiche o sulla psicologia in generale, attua in prima persona le misure di cambiamento del proprio pensiero e dei propri comportamenti.

In poche parole, la persona gestisce il proprio processo di miglioramento e di mantenimento dei risultati nel momento in cui si rende pienamente conto di essere essa stessa la parte più attiva della terapia. Nessuna terapia può infatti sperare di avere un'efficacia se il soggetto non diventa...il terapeuta di sé stesso.

We have suffered one or more traumas: a parent who distances themselves from the family and the other one who at a certain point begins to think more about himself, the bully in middle school, the beating in the square, the lack of consideration at university, social marginalization, aesthetic discrimination, mobbing at work, online trolling, a business failure...etc. etc.

After all that we have been through, it may occur to us or someone points out to us, inevitably, that we are the ones who have to get a move on and get our s... together. But how? Others behave badly towards us, and we must fix it as if we were responsible for our pain?

The answer is yes. You can certainly try to create a dialogue, make requests, beg (not recommended), etc.: but in any case, we, as individuals, cannot work to fix society, we cannot demand psychological and relational compensation from others (we often cannot even guarantee ourselves monetary compensation!). We cannot continue with the dysphoria linked to the sense of injustice for the punishment suffered. What happened to us is unjust, perhaps we were naive to the max, and we are certainly not responsible for our punishment, but we can and must face what we have suffered functionally and rationally for our own good (and not out of resignation to a pessimistic evidence of reality and interpersonal relationships).

First of all, the trauma must not become an inner demon, or at least it must sooner or later stop being one. If something has been caused to us by the behavior of others or in any case has depended on the environment, we must free ourselves from the responsibility of the trauma.

In fact, ours must become, on the contrary, a responsibility for healing: having to heal ourselves is an act that must arise from our precise act of will and self-determination as subjects who have difficulty (and be careful not to identify with the problem here: we will talk about it one day), once, as mentioned, freed from the sense of guilt or responsibility. And, even if there is guilt and responsibility, they must not become feelings of self-flagellation, but, at most, mere awareness of causes that can therefore represent useful elements to implement a concrete psychological and existential improvement. The treatment can then be clearly implemented with the support of a mental health professional and often and willingly this is a very correct and highly recommended practice.

Let us remember that having suffered something bad or terrible gives us the right to ask for help without necessarily having to feel and be branded as troubled people, with mental disorders, etc. Psychological support is not slavishly linked to a state of mental illness: even people who have doubts about themselves can find benefit in one or more psychotherapy sessions.

As for self-treatment, it is not necessarily in an either/or relationship with professional help. On the contrary, it is part of the healing process within a psychotherapy path or in any case of psychological support: how could a therapy be implemented if the subject were not an active and, indeed, interactive part? In fact, we realize that every therapy is simultaneously a self-therapy: the subject self-determines and decides, in consultation with the professional, which objectives he wants to achieve and with what means, reflects on the communicative exchanges and observations, informs himself and perhaps trains himself on therapeutic methodologies or on psychology in general, personally implements the measures to change his own thoughts and behaviours.

In short, the person manages his own process of improvement and maintenance of results when he fully realizes that he is the most active part of the therapy. In fact, no therapy can hope to be effective if the subject does not become... his own therapist.