Contro gli -ismi e i "partiti" e a favore delle idee e di un sano principio di realtà/Against the -isms and "parties" and for the ideas and a sound reality principle



ITALIANO

Non apprezzo gli "-ismi", il che equivale a dire: non mi piace pensare incuneandomi in un'ideologia o comunque in una visione parziale delle cose.

Nondimeno, riconosco il valore e la necessità di un pensiero sistematico, ma dire per esempio "Io sono di Sinistra, aderisco al Marxismo, mi riconosco anche nell'Ateismo" e applicare concretamente poi queste ideologie come premessa e fondamento di ogni nostra inferenza e come suo campo di emersione, la ritengo una grave limitazione della libertà intellettuale. Il "sistema" infatti non può che essere l'intero della realtà, e non solo una sua parte (da qui, una visione intellettualmente "apartitica").

Come fare perciò per liberarsi dal rigido determinismo e accedere però a una modalità di pensiero sistematica, fondata sulla realtà nel suo intero, ma elastica e funzionale e che non sia quindi totale scadimento nel caos, disordine, assenza totale di riferimenti e quindi di relazioni sufficientemente solide?

Occorre prima di tutto una ricognizione: bisogna cioè prima riconoscere la non necessarietà di iscrivere la nostra sistematicità all'interno di un rigido recinto intellettuale, anche solo di controllo, di supervisione sull'operato, o di confronto e riconoscere la necessità di pensare la realtà come unità.

Poi occorre un atto di volontà: bisogna fare tantissima palestra mentale per allenarci a pensare non con concetti viziati da una determinazione ideologica ma con i concetti "puri" (o quantomeno ponendo in rassegna quante più versioni del concetto conosciamo, per un confronto serrato, alla ricerca dei tratti in comune), fare i conti con la realtà intera e quindi articolarla utlizzando l'esperienza analizzata in modo funzionale e critico, vigile, e con un certo grado di logica e di buon senso (un giorno affronteremo il discorso del "buon senso" opposto al "sospetto a tutti i costi"). 

Di conseguenza, non bisogna proprio iniziare con la volontà di costruirsi un sistema! A partire proprio dal voler dare "un nome" allo stesso: già il nome agisce come un magnete, un cuneo fortissimo che plasma da sé e non ci permette di plasmare. Successivamente, bisogna stare molto attenti a quello che è un po' il tentativo di strumentalizzare il nostro pensiero (sostanzialmente, rendere il proprio pensiero una "zona di conforto" intellettuale): molte ideologie, vedremo dopo, sono veri e propri meccanismi che tentano un dominio sulla realtà e anche di sé stessi. Il pensiero infatti deve primariamente riconoscere la realtà, non tentare di fondarla e piegarla a dei bisogni, per quanto possano essere nobili e necessari: i bisogni si riconoscono dopo aver avuto un quadro sufficiente della realtà, nella sua totalità, e non sono punti di partenza che poi contribuiscono magari a plasmare su di essi costruzioni parziali e strumentali della realtà.

Dopodiché, non bisogna mai schierarsi, o quantomeno non partire dallo schierarsi: diventare sostenitori di qualcosa (un'idea, un partito politico) infatti fa nascere uno spontaneo rapporto fideistico con la tal cosa che rappresenta quindi un limitatore di libertà intellettuale di cui spesso non ci rendiamo conto, soprattutto quando tale evenienza si presenta in prima istanza. Pensiamo cioè di essere compatibili con tali sistemi e che quindi le nostre inferenze siano sempre spontanee, ma col passare del tempo nasce quella sensazione di legame a doppia mandata che ci fa capire che non siamo più noi a usare l'ideologia come strumento, ma il contrario. Sostanzialmente, l'ideologia diviene una sorta di religione "morbida", dove esistono divinità e preghiere e crediamo di avere spazio di inferenza, che si riduce sempre di più. Può succedere nella vita di sentirsi più o meno vicini a delle posizioni sistemiche e partitiche, ma un'"adesione" (vissuta in modo sempre critico e consapevole, onde evitare di scadere nel vizio dell'appartenenza ideologica quasi "cameratista") dovrebbe per l'appunto accadere in una fase matura della nostra esperienza come persone e come pensatori (non necessariamente professionali...), e dovrebbe quindi essere conseguenza di un'affinità reale tra ciò che stiamo considerando come compatibile a noi e quello che noi abbiamo maturato come convizioni realmente proprie, cresciute in in piena libertà e visione sana, intera e integra della realtà. Insomma, non sarebbe de facto una reale adesione ma un semplice riconoscimento di affinità. Esiste poi un'adesione "fisica" (iscriversi a un movimento) che non per forza deve corrispondere a un vero e proprio battesimo intellettuale, una rinascita spirituale in cui si rinnega ogni pensiero critico e potenzialmente ostativo (ma, chiaramente, sempre con la capacità di rispettare le regole del gruppo)! Come un fidanzamento con una persona dovrebbe essere frutto di un'affinità spontanea e dovrebbe dare luogo a un'unione e non a una fusione tra due persone, che comporterebbe cioè l'abbandono della propria individualità (e ce ne sono troppe di relazioni così), così scegliere di entrare in un gruppo di pensiero o di pratiche deve essere qualcosa di altamente ponderato, trovando equilibrio tra la propria individualità e l'appartenenza al gruppo (questo per ridurre a zero i dubbi di una visione troppo "autarchica" dell'intellettualità e della partecipazione civica, che potrebbe trasparire in queste righe!).

Ciò che contano sono le idee e le relazioni tra idee, indipendentemente dal fatto di voler volontariamente creare un sistema interpretativo forte e strumentale: il sistema "non forte" fondamentalmente è questo, un interscambio spontaneo prolifico e funzionale basato su un sano principio di realtà e non su un decalogo di idee fisse, di riferimento, quasi un codice civile e penale con tanto di sanzioni intellettuali se si osa travalicare i limiti.

La realtà non può essere legata a un'interpretazione faziosa o rigidamente prospettica: la realtà è il tutto, e solo una visione totaleggiante può avvicinarsi a una restituzione sufficientemente efficace, che può consentire quindi una valutazione che non sia un'inferenza arbitraria troppo poco plausibile e frutto di strumentalizzazioni.

Affrancandoci in parte da un discorso generale e volendo fare una piccolissima e senza pretese ricognizione storica di qualche autore che ha affrontato in ambito sociale e politico la questione dell'ideologia, vengono in mente subito due autori: nel 1974 Spiegel scriveva un interessante trattato, "Contro le ideologie": questo è un saggio politico che va a criticare però le ideologie cosiddette "pure" (come nazionalismo, democristianesimo ecc.), tacciate di essere lontane dalla realtà e non concrete. 

Un'altra autrice, Rahel Jaeggi, invece, parla di una "critica dell’ideologia, [...]". Essa sarebbe contemporaneamente "critica del dominio in quanto critica [del] rendere ovvio, o meglio di costruzione dell’ovvietà e, specularmente, è la decifrazione di questi meccanismi in quanto meccanismi del dominio."

Queste ovvietà sono appunto conseguenze di visioni oltremodo statiche dei rapporti sociali, che creano ideologie "giustificatorie" da scandagliare e decostruire, in quanto "sospette" (Ricouer infatti è citato nello stesso testo con la "ermeneutica del sospetto"). 

Oltretutto, un pensiero rigidamente determinato da convenzioni ideologiche è cieco alle proprie stesse contraddizioni, diventa pensiero assoluto e non criticabile, ma criticante, una pietra angolare da non poter mai rimuovere, pena il crollo di tutto l'edificio.

Mi tengo quindi il più lontano possibile dagli -ismi, e, quando non posso... spero di riuscirci al più presto, rimanendo vigile soprattutto verso me stesso.

Till E. Spiegel, Contro le ideologie, Volpe, 1974

Rahel Jaeggi, Forme e vita di capitalismo, Rosenberg & Seller, 2016 (qui il capitolo Che cos'è la critica all'ideologia in forma integrale )


ENGLISH

I don't appreciate "-isms", which is equivalent to saying that I don't like to think by wedging myself into an ideology or in any case a partial vision of things.

Nonetheless, I recognize the value and necessity of systematic thinking, but, still, I consider a serious limitation of intellectual freedom to say, for example: "I am from the Left, I adhere to Marxism, I also recognize myself in Atheism" and then concretely applying these ideologies as the premise and foundation of all our inferences and as its field of emergence. In fact, the "system" can only be the whole of reality, and not just a part of it (hence, an intellectually "non-partisan" vision).

How can we, therefore, free ourselves from rigid determinism and access a systematic way of thinking, based on reality as a whole, but elastic and functional, which is therefore not a total collapse into chaos, disorder, or absence of references and therefore of sufficiently solid?

First of all, a reconnaissance is needed: that is, we must first recognize the non-necessity of inscribing our systematicity within a rigid intellectual enclosure, even if only of control, supervision of work, or comparison, and recognize the need to think about reality as a unit.

Then an act of will is needed: we need to do a lot of mental training to train ourselves to think not with concepts tainted by an ideological determination but with "pure" concepts (or at least reviewing as many versions of the concept as we know, for a close comparison, a search for common traits), deal with the whole reality and then articulate it using the analyzed experience functionally and critically, alert, and with a certain degree of logic and common sense (one day we will address the issue of "good sense" as opposed to "suspicion at all costs").

Consequently, you don't have to start with the desire to build a system! Starting precisely from wanting to give "a name" to it: the name already acts like a magnet, a powerful wedge that shapes itself and does not allow us to shape. Subsequently, we must be cautious about what amounts to an attempt to exploit our thinking (essentially, making one's thinking an intellectual "comfort zone"): many ideologies, we will see later, are real mechanisms that attempt to dominion over reality and even of oneself. In fact, thought must primarily recognize reality, not attempt to find it and bend it to our needs, however noble and necessary they may be: needs are recognized after having had a sufficient picture of reality as a whole and are not starting points, which then, possibly, contribute to shaping partial and instrumental constructions of reality on them.


After that, we must never take sides, or at least not we must not begin with it: becoming supporters of something (an idea, a political party), in fact, gives rise to a spontaneous relationship of faith with such and such a thing which therefore represents a limiter of intellectual freedom which is often not we realize this, especially when this eventuality arises in the first instance. That is, we think we are compatible with these systems and therefore our inferences are always spontaneous, still over time that feeling of a double bond arises making us understand that we are no longer using ideology as an instrument, but the opposite. Basically, ideology becomes some sort of a "soft" religion, where deities and prayers exist and we believe we have space for inference, which is increasingly reduced. It can happen in life to feel more or less close to systemic and party positions, but "adhesion" (always experienced critically and consciously, to avoid falling into the vice of almost "comradely" ideological belonging) should precisely happen in a mature phase of our experience as people and as thinkers (not necessarily professional...), and should therefore be the consequence of a real affinity between what we are considering as compatible with us and what we have matured as beliefs that are truly one's own, grown in complete freedom and a healthy, whole and integral vision of reality. In short, it would not be a de facto real membership but a simple recognition of affinity. Then there is "physical" membership (signing up to a movement) which does not necessarily have to correspond to a real intellectual baptism, a spiritual rebirth in which every critical and potentially hindering thought is renounced (but, clearly, always with the ability to respect the rules of the group)! Just as an engagement should be the result of a spontaneous affinity and should give rise to a union and not to a fusion between two people, which would involve the abandonment of one's individuality (and there are too many relationships like this), so choosing to join a group of thought or practices must be something highly considered, finding a balance between one's individuality and belonging to the group (this is to reduce to zero the doubts of an overly "autarchic" vision of intellectuality and civic participation, which could shine through in these lines!).

What matters are the ideas and the relationships between ideas, regardless of the fact of voluntarily wanting to create a strong and instrumental interpretative system: the "not strong" system is fundamentally this, a prolific and functional spontaneous interchange based on a healthy principle of reality and not on a decalogue of fixed, reference ideas, almost a civil and criminal code complete with intellectual sanctions if one dares to go beyond the limits.

Reality cannot be tied to a biased or rigidly prospective interpretation: reality is the whole, and only a totalizing vision can come close to a sufficiently effective restitution, which can therefore allow an evaluation that is not an arbitrary inference that is too implausible and the result of exploitation.

Partly freeing ourselves from a general discussion and wanting to make a minimal and unpretentious historical survey of some authors who have addressed the question of ideology in the social and political sphere, two authors immediately come to mind: Spiegel wrote an interesting treatise in 1974, " Against ideologies": this is a political essay that criticizes the so-called "pure" ideologies (such as nationalism, Christian democracy, etc.), accused of being far from reality and not concrete.

Another author, Rahel Jaeggi, talks about a "critique of ideology, [...]". It would simultaneously be "critique of domination as criticism [of] making obvious, or rather of construction of obviousness and, conversely, it is the deciphering of these mechanisms as mechanisms of domination."

These obviousnesses are precisely consequences of extremely static visions of social relations, which create "justifying" ideologies to be explored and deconstructed, as they are "suspicious" (Ricouer is in fact cited in the same text with the "hermeneutics of suspicion").

Furthermore, a thought rigidly determined by ideological conventions is blind to its own contradictions, it becomes absolute and uncriticizable, but criticizing thought, a cornerstone that can never be removed, under penalty of the collapse of the entire edifice.

I therefore keep myself as far away as possible from -isms, and, when I can't... I hope to succeed as soon as possible, remaining vigilant above all towards myself.


Commenti

  1. La tua personale vocazione, la tua originale interpretazione dell’esistenza e il tuo approdo richiedono scelte a cui rimanere fedeli.
    Non come pura adesione della volontà all’obbligazione morale o giuridica, quanto come consonanza tra il tuo modo d’essere e la direzione del cammino che hai intrapreso …È conferma di te.È anche sceglierti.
    In modo personalissimo, tendi all’armonia del tuo essere e al bene per te stesso e per gli altri.
    Ovviamente anche io lontanissima da tutti gli ISMI …
    Tiziana

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