Anarchia è caos? Analisi più o meno sconfortante dei due termini, correlazioni e implicazioni storico-sociali/ Is Anarchy chaos? More or less uncomfortable analysis of the two terms, correlations and social implications/


Nel pensiero comune il termine "anarchia" è spesso associato al caos, alla disgregazione sociale e all'assenza di ordine. Tuttavia, questa visione semplificata non rende giustizia alla complessità dei due termini.

L’etimologia delle parole "anarchia" e "caos" rivela infatti significati profondi e spesso fraintesi, che nel tempo sono stati oggetto di riflessione da parte di filosofi, sociologi e studiosi del linguaggio.

Il termine "anarchia" deriva dal greco antico ἀναρχία (anarkhía), composto dal prefisso privativo ἀν- (an-, "senza") e ἀρχή (archḗ, "principio", "comando", "potere"). Etimologicamente, quindi, "anarchia" significa "assenza di comando" o "assenza di principio".

Nell'antichità, il termine aveva ad ogni modo in effetti la connotazione negativa che ancora oggi comunemente gli diamo, associata alla mancanza di ordine e alla degenerazione dello stato. Ad esempio, lo storico greco Polibio descriveva l'anarchia come una fase di disordine e trionfo degli istinti brutali, parte del ciclo di trasformazione dei regimi politici .

Tuttavia, nel XIX secolo, il pensatore francese Pierre-Joseph Proudhon reinterpretò il termine in chiave positiva, definendo l'anarchia come "ordine senza potere" e proponendo una società basata sulla cooperazione volontaria e sull'autogestione.

Il termine "caos" proviene dal greco antico χάος (cháos), che indicava una voragine o un abisso, derivato dal verbo χαίνω (khaínō), "aprirsi", "spalancarsi". Nella cosmogonia greca, come nella Teogonia di Esiodo, il Caos rappresentava lo stato primordiale dell'universo, un vuoto informe da cui tutto ha avuto origine .

L'analisi etimologica di "anarchia" e "caos" mostra come entrambi i termini abbiano subito trasformazioni semantiche significative nel corso dei secoli. Mentre "anarchia" è passata da indicare una mancanza di governo a rappresentare un ideale di società autogestita, "caos" è evoluto da concetto cosmologico di vuoto primordiale a sinonimo di disordine. Queste evoluzioni riflettono i cambiamenti nelle concezioni filosofiche e sociali, evidenziando l'importanza di comprendere le radici linguistiche per afferrare appieno il significato e l'uso contemporaneo di tali termini.

L'anarchismo, come movimento filosofico e politico, non promuove il disordine, ma propone un modello di società in cui le relazioni sociali sono regolate da accordi volontari e mutualistici, piuttosto che da leggi imposte da un'autorità centrale. Come evidenziato nella voce "Anarchia" di Wikipedia, "nessuna teoria anarchica ha mai teorizzato l'assenza di regole e di interazioni sociali", ma piuttosto "propone un nuovo modo di concepire la società, costruito intorno a norme e/o principi etici egualitari, condivisi e non imposti dall'alto" 

Questa visione si distingue nettamente dal concetto di "anomia", introdotto dal sociologo Émile Durkheim, che descrive uno stato di assenza o insufficienza di norme sociali, portando a una disgregazione del tessuto sociale e a comportamenti devianti . Mentre l'anarchia, nella sua accezione filosofica, propone un ordine alternativo basato sulla cooperazione e sull'autonomia, l'anomia rappresenta una condizione di disorientamento e mancanza di coesione sociale.


Tra gli adolescenti spesso emergono vere e proprie chimere ideologiche nate dal mix di citazioni slegate da contesti originali. Queste fusioni strumentali servono a creare una “zona di conforto” in cui giustificare ribellioni generazionali, come quando un quindicenne usa riferimenti a Marx e Proudhon per difendere il diritto a rientrare alle tre del mattino o a fumare spinelli o per costruirsi un angolo di fuga dal disagio, un mondo idilliaco che stuzzica la propria fantasia e fa sentire anche speciali. Dal punto di vista psicosociale, questo comportamento rientra tra le forme di radicalizzazione adolescenziale, che talvolta sfociano in convinzioni forti ma fragili, facilmente abbandonate con la maturità.

Spostandoci in Italia, e in particolare nel Centro-Sud, appare fin troppo facile correlare l'anarchia a determinati territori per il il fatto che la cultura della legalità ha spesso incontrato in queste aree ostacoli legati a strutture sociali tradizionali, come il familismo amorale e il campanilismo. Il sociologo Edward C. Banfield, nel suo studio sul familismo amorale, descrive una cultura in cui l'interesse della famiglia prevale su quello della comunità, portando a una scarsa fiducia nelle istituzioni e a comportamenti opportunistici. 

Il campanilismo, inteso come attaccamento "esagerato" alla propria città o paese, può essere tale da significare fondamentalmente un mancato sentimento di appartenenza a una comunità nazionale, alimentando divisioni e ostilità verso l'esterno . Questi fenomeni contribuiscono a una percezione dello Stato come entità distante o addirittura ostile, piuttosto che come espressione della volontà collettiva, allontanandosi de facto dall'equivalenza Stato = cittadini.

La cultura sociale del centro-sud non è però "caotica": in realtà le comunità locali seguono infatti regole non scritte, che possono entrare in conflitto le leggi e con una mentalità civile, pur non prefigurando uno stato di barbarie; si tratta di una mentalità de facto anti-legale ma dove la comunità detta le proprie regole e le applica fattualmente. Si tratta però di qualcosa di spontaneo e storicamente presente, non è frutto cioè di un pensiero critico e di un atto di reale ribellione, o quantomeno, quest'ultimo elemento è discontinuo, avvenendo cioè in modo contestualizzato a determinate situazioni, non è quindi sistematico. 

Ricordiamo che la giurisprudenza italiana riconosce lo status di consuetudine purché non contrasti con norme imperative (Cass. Civ. Sez. Unite, 2011) – perciò l’usanza locale non prevale sulla legge, sebbene questo de facto avvenga in diverse comunità della penisola.

Inutile dire che per rafforzare la cultura della legalità, è essenziale promuovere la partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica, superando le logiche di appartenenza ristretta e favorendo un senso di responsabilità collettiva. Anche qui, come al solito, il rimando è sempre a una innovazione della cultura didattica, che deve concretamente mutare nel senso proprio di agevolare questo senso di appartenenza alla comunità, alla collettività, con le sue leggi e le sue regole, non espressione, nell'ultimo caso, di una "settorialità" ma di consuetudini sane da condividere universalmente.

L'anarchia, ad ogni modo, offre spunti interessanti: partendo da essa, si accede alla critica del potere e dell'organizzazione sociale, indispensabili per mantenere viva la vigilanza civile, creare dibattito edificante, proporre soluzioni. Inoltre, è spunto di proposte riguardo modelli di organizzazione sociale basati sulla cooperazione volontaria e sull'autogestione, che possono contribuire a una maggiore responsabilizzazione individuale e collettiva. 

Infatti, in uno Stato di diritto lo spazio per una visione anarchica globale sembrerebbe essere alquanto ristretto, e anzi in determinati microambiti sarebbe meglio parlare di autonomia e autogestione. A livello "macroscopico", sarebbe veramente difficile applicare l'anarchia nel vero senso della parola.

In sintesi: anarchia quindi non significa “nessuna regola”, ma "assenza di comando" e può legarsi al concetto di “regole concordate senza imposizioni o senza un controllo imperativo"  (per esempio: le scuole mutualiste di Bakunin e Kropotkin propongono cooperative spontanee per gestire risorse comuni). Al contrario, anomia (Durkheim) indica carenza o collasso delle norme, che genera disorientamento e comportamenti devianti (ed è qui che ci avviciniamo al caos). Per capirci: un adolescente che organizza un party abusivo in casa crea anomia, mentre una collettività di vicini che stabilisce orari di festa e pulizia registra un ordine “anarchico”, e una collettività di vicini che non lo fa, magari con abusi come invadere gli spazi privati ecc., crea il "caos".


In common thought, the term "anarchy" is often associated with chaos, social disintegration and the absence of order. However, this simplified vision does not do justice to the complexity of the concept of anarchy, which, in its philosophical and political meaning, does not necessarily imply the absence of rules, but rather a criticism of imposed authority and a proposal for social organisation based on cooperation and self-management.

The etymology of the words "anarchy" and "chaos" reveals profound and often misunderstood meanings, which over time have been the subject of reflection by philosophers, sociologists and language scholars.

The term "anarchy" derives from the ancient Greek ἀναρχία (anarkhía), composed of the privative prefix ἀν- (an-, "without") and ἀρχή (archḗ, "principle", "command", "power"). Etymologically, then, "anarchy" means "absence of command" or "absence of principle".

In ancient times, the term actually had the negative connotation that we still commonly give it today, associated with the lack of order and the degeneration of the state. For example, the Greek historian Polybius described anarchy as a phase of disorder and triumph of brutal instincts, part of the cycle of transformation of political regimes.

However, in the 19th century, the French thinker Pierre-Joseph Proudhon positively reinterpreted the term, defining anarchy as "order without power" and proposing a society based on voluntary cooperation and self-management.

The term "chaos" comes from the ancient Greek χάος (cháos), which indicated a chasm or an abyss, derived from the verb χαίνω (khaínō), "to open", "to throw open". In Greek cosmogony, as in Hesiod's Theogony, Chaos represented the primordial state of the universe, a formless void from which everything originated.

The etymological analysis of "anarchy" and "chaos" shows how both terms have undergone significant semantic transformations over the centuries. While "anarchy" has gone from indicating a lack of government to representing an ideal of self-managed society, "chaos" has evolved from a cosmological concept of primordial void to a synonym for disorder. These evolutions reflect changes in philosophical and social conceptions, highlighting the importance of understanding the linguistic roots to fully grasp the meaning and contemporary use of such terms.

Anarchism, as a philosophical and political movement, does not promote disorder, but proposes a model of society in which social relations are regulated by voluntary and mutualistic agreements, rather than by laws imposed by a central authority. As highlighted in the Wikipedia entry "Anarchy", "no anarchist theory has ever theorised the absence of rules and social interactions", but rather "it proposes a new way of conceiving society, built around egalitarian norms and/or ethical principles, shared and not imposed from above"

This vision is clearly distinct from the concept of "anomie", introduced by the sociologist Émile Durkheim, which describes a state of absence or insufficiency of social norms, leading to a disintegration of the social fabric and deviant behaviour. While anarchy, in its philosophical sense, proposes an alternative order based on cooperation and autonomy, anomie represents a condition of disorientation and lack of social cohesion.

Among adolescents, real ideological chimaeras often emerge, born from the mix of quotations unrelated to their original contexts. These instrumental fusions serve to create a "comfort zone" in which to justify generational rebellions, such as when a fifteen-year-old uses references to Marx and Proudhon to defend the right to return home at three in the morning or to smoke joints or to build a corner to escape from discomfort, an idyllic world that stimulates one's imagination and also makes us feel special. From a psychosocial point of view, this behaviour is one of the forms of adolescent radicalisation, which sometimes results in strong but fragile beliefs, easily abandoned with maturity.

Moving to Italy, and in particular to the Central-South part of the country, anarchy is all too easily correlated to the fact that the culture of legality has often encountered obstacles in this area linked to traditional social structures, such as amoral familism and parochialism. Sociologist Edward C. Banfield, in his study on amoral familism, describes a culture in which the interest of the family prevails over that of the community, leading to a lack of trust in institutions and opportunistic behaviour.

Campanilism, understood as an "exaggerated" attachment to one's own city or country, can be such that it basically means a lack of sense of belonging to a national community, fueling divisions and hostility towards the outside world. These phenomena contribute to a perception of the State as a distant or even hostile entity, rather than as an expression of the collective will, de facto distancing itself from the equivalence State = citizens.

In reality, the social culture of Central-South Italy is not "chaotic": in this context, a sort of application of anarchy prevails. In reality, local communities follow "unwritten rules", which can conflict with the laws and with a civil mentality, even if it is not a state of barbarism; it is a de facto anti-legal mentality, where the community dictates its own rules and applies them factually, but it is something spontaneous and historically present, that is, it is not the result of critical thinking and an act of real rebellion, or at least, this last element is discontinuous, that is, it occurs in a contextualized way in certain situations, that is, it is not systematic. Moreover, Italian jurisprudence recognises the status of custom as long as it does not conflict with mandatory rules (Cass. Civ. Sez. Unite, 2011) – therefore, local custom does not prevail over the law.

Needless to say, to strengthen the culture of legality it's essential to promote the active participation of citizens in public life, overcoming the logic of narrow belonging and fostering a sense of collective responsibility. Here too, as usual, the reference is always to an innovation of the didactic culture, which must concretely change in the sense of facilitating this sense of belonging to the community, to the collectivity, with its laws and its rules, not an expression, in the latter case, of a "sectoriality" but of healthy habits to be shared universally.

Anarchy, in any case, offers interesting ideas: starting from it, we access the critique of power and social organisation, indispensable for keeping civil vigilance alive, creating edifying debate, pand roposing solutions. Furthermore, it is the starting point for proposals regarding models of social organisation based on voluntary cooperation and self-management, which can contribute to greater individual and collective responsibility.

In fact, in a state of law, the space for a global anarchist vision would seem to be rather limited, and indeed, in certain micro-areas, it would be better to speak of autonomy and self-management. At a "macroscopic" level, it would be truly difficult to apply anarchy in the true sense of the word.

In short, anarchy therefore does not mean "no rules", but "absence of command" and can be linked to the concept of "rules agreed upon without impositions or without an imperative control" (for example, the mutualist schools of Bakunin and Kropotkin propose spontaneous cooperatives to manage common resources). On the contrary, anomie (Durkheim) indicates a lack or collapse of norms, which generates disorientation and deviant behaviour (and this is where we get close to chaos). To be clear: a teenager who organizes an illegal party at home creates anomie, while a community of neighbors who establish party and cleaning times register an "anarchic" order, and a community of neighbors who do not do so, perhaps with abuses such as invading private spaces etc., creates "chaos".

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